
“C. NAYA
VENEZIA
CAMPO ST. MAURIZIO, No. 2758.”
“Veduta presa
da S. Giorgio”
San Maurizio
Campo San Maurizio
30124 Venezia
Italien
English: Churches of San Marco – map – Venezia, 2010.
Church of San Giorgio Maggiore
Isola di S.Giorgio Maggiore
30133 Venezia
Italien
http://arthistorynewsreport.blogspot.co.at/2013/03/venice-from-canaletto-and-turner-to.html
From 28 March – 4 August, 2002, Fondation Beyeler (Basel) presented
Venice – From Canaletto and Turner to Monet.
Carlo Naya, The Dodges Palace and the Campanile, c. 1875. Albumen photograph, 27 x 35.5 cm. Sammlung Herzog, Basel © Ruedi Habegger.
https://de.wikipedia.org/wiki/Carlo_Naya
Carlo Naya
(* 1816 in Tronzano Vercellese bei Turin; † 1882 in Venedig)
war einer der herausragenden Reise- und Architekturfotografen des 19. Jahrhunderts. Weniger bekannt sind seine Porträts und seine Aufnahmen des Alltagslebens in Venedig. Insbesondere zur Architekturgeschichte der Stadt sind seine Arbeiten von großem Quellenwert.
Biographie
Naya wurde als Carlo Naja geboren.
Er studierte Rechtswissenschaften in Pisa, und schloss sein Studium 1840 ab.
Zusammen mit seinem Bruder Giovanni unternahm er ausgedehnte Reisen, und ließ sich kurzzeitig um 1845 in Prag nieder.
Von dort ging er 1846 nach Konstantinopel, wo er mit Daguerreotypien experimentierte.
Auf seinen späteren Reisen, wie etwa nach Ägypten, wo er 1876 Kairo besuchte, ließ er sich bei seinen Fotos von der Bildkomposition der Renaissancemaler inspirieren.[1]
Als sein Bruder 1857 starb, ging er nach Venedig und eröffnete zusammen mit dem Verleger Carlo Ponti ein Studio. Doch zerstritten sich die beiden Gründer.
Italiano: Carlo Naya (1816-1882) – Venezia. Palazzo Vendramin. Anni 1870.
English: Carlo Naya (1822-1881) – Venice. Palazzo Vendramin. 1870s.
Naya eröffnete ein eigenes Studio und konnte 1868 in ein großes Studio an der Riva degli Schiavoni in der Nähe des Markusplatzes umziehen.
Ponti und Naya galten als die herausragenden Fotografen der Stadt.
Nayas Fotografien sind nicht nur Meisterwerke der Architekturfotografie sondern auch der Portraitkunst. Sie liefern Einblicke in die Gesellschaft des verarmten Venedig. So fotografierte er Schreiber für die Analphabeten der Stadt, Wasser- und Zigarettenstummelverkäufer, aber auch Vertreter der gehobenen Gesellschaft.
Einer seiner Schüler war Tomaso Filippi.
Nach Nayas Tod wurde sein Fotoarchiv bis 1918 weitergeführt, 1920 übernahm Osvaldo Böhm, ein Kunstsammler, die Fotosammlung, die später Turio-Böhm hieß. Sie umfasste mehr als 5000 Negative, davon allein 1800 zu Venedig.
Die Firma O. Böhm Fotografo-Editore blieb bis etwa 1980 bestehen.
Literatur
Janet E. Buerger: Carlo Naya: Venetian Photographer. The Archeology of Photography (zur Ausstellung Naya’s Italy, George Eastman House, 11. März bis 29. Mai 1983), in: Image 26, n. 1, März 1983
Paolo Costantini: Vedute e dettagli: the photography of Carlo Naya, University of Michigan Museum of Art, 1992 (Costantini (1959-1997) zeigt, wie Naya die Vorstellung von Venedig geprägt hat)
Dorothea Ritter: Venise, photographies anciennes 1841-1920, édition Inter Livres 1994.
Alberto Manodori Sagredo (Hrsg.): Venezia nelle fotografie di Carlo Naya della Biblioteca Vallicelliana (Katalog der Ausstellung in der Biblioteca Nazionale Marciana, 3. bis 30. Oktober 2008), Rom: Ministero per i Beni e le Attività Culturali 2008.
Elena Roncaglia: Carlo Naya fotografo veneziano: il ruolo della fotografia del XIX secolo nella rappresentazione del paesaggio urbano, Diss. 2009
Italo Zannier: Venice, the Naya Collection, Venedig: O. Böhm 1981.
http://marciana.venezia.sbn.it/_statici/naya/naya-1.html
Carlo Naya (1816- 1882) ( 1 )
“IN PRESSOCCHÈ TUTTI I PAESI DEL VENETO SI TROVANO FOTOGRAFI – annotava Antonio Errea in un suo compendio del 1870 – MOLTO GUADAGNO NE RICAVANO, ED È GRANDE LO SMERCIO ANCHE ALL’ESTERO[…]SONO PURE DEGNI DI PARTICOLARE MENZIONE I LAVORI OTOGRAFICI DEL NAYA, E SI MERITANO LODI DA GIORNALI DI ARTE E DI INDUSTRIA, PER ESECUZIONE E PELLA SCELTA DELLE COSE FOTOGRAFATE[…]” ( 2 )
Le cose fotografate erano i palazzi, le opere d’arte, le vedute veneziane, e le scene di genere folkloristiche, ovvero i soggetti generalmente preferiti ovunque dai fotografi, e destinati al grande mercato che la fotografia aveva ormai conquistato, ma Naya sapeva scegliere con particolare cura e descriverli con singolare accuratezza tecnica.
Carlo Naya, però, non si era limitato a svolgere un lavoro artigianale da piccola bottega d’arte ma, come gli Alinari, aveva rapidamente ampliato l’atelier assumendo parecchi aiutanti sia per i lavori esterni che per quelli di laboratorio ed editoriali, al punto che l’Errea non poté esimersi dal dire che “una lode deve essere fatta a chi (Naya) trasformò questa arte in una industria importante pur conservandole carattere estetico” ( 3 )
Carlo Naya (o più esattamente, NAJA, come risulta nell’atto di battesimo) non era però veneziano essendo nato a Tronzano Vercellese il 2 agosto del 1816. La sua famiglia era benestante e fu quindi avviato agli studi universitari, insieme al fratello, nella facoltà di Giurisprudenza di Pisa tra il 1837 e il 1840, sostenendo l’ultimo esame per il Dottorato in Sapienza ( 4 )
Alla morte del padre, avvenuta nel 1840, Carlo Naya rientrava a Tronzano e con i soldi dell’eredità, che dovette essere cospicua, partì insieme al fratello per un lungo viaggio dapprima in Italia, studiando nei musei, nelle gallerie e nelle pinacoteche i capolavori dell’arte, successivamente visitando le principali città in Europa, recandosi poi in alcuni paesi del bacino mediterraneo, attratto anche dall’archeologia e dall’arte islamica.
Carlo Naya insieme al fratello si insedia così a Pera, un quartiere centrale e vivacissimo di Costantinopoli (odierna Istanbul), dirimpetto all’ambasciata di Russia, sulla Grande rue de Pera. ( 5 ) L’interesse dell’Occidente per il Medio Oriente era infatti sempre più stimolato da una diffusa conoscenza della Bibbia e dalla letteratura di viaggio.
Verso la fine del XIX secolo, i borghesi europei cominciarono a viaggiare in così gran numero da suscitare reazioni allarmate come quella pubblicata sul Times che diceva “…i turisti affollano i luoghi che dovrebbero essere visitati in reverente silenzio…” ( 6 ).
Come i loro equivalenti di oggi, questi viaggiatori ricercavano souvenir possibilmente autentici e pensavano che fosse un loro diritto portarseli a casa; come disse qualcuno, non si poteva tornare dall’Egitto senza “una mummia in una mano e un coccodrillo nell’altra….” ( 7 ).
Tutte le civiltà nate e scomparse in Medio Oriente hanno lasciato una sconfinata varietà di rovine e la fotografia dei precursori diviene così il principale strumento documentario di questi siti. Dopo la morte del fratello avvenuta a Costantinopoli nel 1856 Carlo Naya rientrò in Piemonte ( 8 ) ma subito dopo (pare nel 1857), partì per Venezia dove decise di stabilirsi e mettere a profitto il residuo capitale rimastogli utilizzando l’esperienza fotografica amatoriale che doveva essere notevole visto che gli consentì di affrontare professionalmente questo mestiere in una città dove già esistevano importanti studi fotografici.
A Venezia infatti questa attività sembrava aver trovato un suo spazio ideale, un topos dove ogni cosa si trasformava in immagine fiabesca, esotica senza grande fatica. Luoghi che venivano proposti poi negli allettanti cataloghi dei fotografi che offrivano per pochi franchi una interminabile sequenza di “riproduzioni” d’ogni specie e misura, concedendo a chi l’avesse voluto (ed erano già in molti) di mettere in tasca un intero museo, e volendo anche tutta la città. Iniziavano a nascere, negli
anni in cui lo stesso Naya si era trasferito nella città lagunare, importanti studi fotografici, come
quello di Carlo Ponti (1821-1893) ( 9 ), che era giunto anni prima dalla Francia (nato però nel Canton
Ticino), dove aveva studiato ottica e praticato la fotografia.
Ponti fu infatti uno dei primi a impegnarsi a Venezia nella diffusione di immagini fotografiche, producendo gli album “Ricordo di Venezia” nei vari formati e prezzi, contenenti anche riproduzioni di sculture e dipinti, sebbene in una iconografia più popolare. Carlo Naya (che in seguito si firmò a volte Naja e anche Naija) era giunto a Venezia portando con sé, anche una serie di lastre al collodio di cm 19,5×26, oggi famose, di soggetti folkloristici del Meridione d’Italia, che dovettero costituire allora una specie di credenziale sulla sua abilità di fotografo e anche il nucleo di partenza del suo catalogo che divenne ben presto tra i più ricchi del settore ( 10 ).
A Venezia dunque il dottor Carlo Naya escluse l’ipotesi di esercitare la professione di avvocato, e decise di fare il fotografo, seguendo questa sua passione fino in fondo, ma utilizzando comunque la sua cultura, specie nella scelta dei soggetti e nella organizzazione dell’atelier, che si distinse in breve tempo nonostante all’inizio si appoggiasse allo stabilimento dello stesso Ponti, in Riva degli Schiavoni, il quale provvedeva a vendere le sue opere.
Naya aprì
un laboratorio in Campo San Maurizio 2758
e
una vetrina d’esposizione e vendita in Piazza San Marco,
che ingrandì mano a mano, impegnando, nel 1868, ben quattro numeri civici, dal 75 al 79 (ma al 76 aveva lo studio un altro fotografo di fama, Giovanni Jankovich, autore, inoltre, di un importante manuale edito nel 1880) ( 11 ).
Il negozio di Naya, scrisse un cronista della “Gazzetta privilegiata di Venezia” era “un gioiello degno della piazza San Marco” dove erano i fotografi, allora a vendere i souvenirs della città, ossia le loro fotografie ( 12 ).
Nel 1864 su lastre al collodio 20×27 cm “realizzate dagli originali e senza alcun ritocco” ( 13 ), come lo stesso Naya precisa nel catalogo della ditta, riprodusse gli affreschi di Giotto, appena restaurati e anche dopo altri restauri, nella Cappella degli Scrovegni a Padova, per conto di Pietro Selvatico Estense, il quale fu sindaco di Venezia, architetto e già direttore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia.
Lo stesso Naya nel 1867 riprodusse inoltre i bassorilievi della Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, in immagini che oggi sono l’unica testimonianza, essendo andati distrutti durante un incendio avvenuto nello stesso anno. Nelle vedute di architettura Carlo Naya non si discosta dagli schemi della prospettiva cari ai disegnatori, ma lo strumento fotografico, nonostante ogni desiderio di imitazione, obbliga a vedere in modo nuovo, enfatizzando semmai questa prospettiva, che in fotografia trova la sua origine sulla linea dell’orizzonte.
Naya utilizza punti di vista alti (i campanili), alla ricerca del “panorama” e si scopre così una città diversa, nella cui scenografia compare ancora poca gente in sosta quasi per caso nel cono ottico dell’obiettivo se si escludono le regate o le manifestazioni pubbliche, dove Naya è sempre presente, con i suoi assistenti come in occasione del viaggio a Venezia dell’Imperatore Austro-Ungarico il 5 aprile del 1875 quando esegue il reportage insieme a Schoefft, fotografo che con molta probabilità era a seguito dell’imperatore e con il quale Naya ha condiviso l’esclusiva ( 14 ).
Sempre nel 1867 partecipò all’Esposizione Universale di Parigi con una serie di vedute di Venezia e di riproduzione di affreschi che arricchiscono alcune chiese di Padova, di Giotto e del Mantegna, che gli fecero ottenere una medaglia d’argento ( 15 ). Scriveva infatti Borlinetto ( 16 ) nel resoconto sulla partecipazione italiana di come “Il signor Naya” sia riuscito ad ottenere delle fotografie, di ottima qualità, degli affreschi di grandi maestri che si trovavano, spesso, in luoghi pochissimo o male illuminati.
Queste fotografie, di cui i negativi furono eseguiti con processo a secco, presentavano una perfezione ed una uniformità come se fossero state fatte in luogo aperto: Il “signor Naya”, scriveva sempre Borlinetto, oltre a questi lavori, esponeva molte altre belle fotografie d’interni e di vedute di Venezia ( 17 ). Ciò gli procurò notorietà non solo in Italia ma anche a Parigi ed a Londra.“ Le sue stereoscopiche godono di singolare reputazione; le ricompense avute in altre epoche, quella della medaglia d’argento accordatagli in quest’anno all’Esposizione Universale comprovano l’incontrastabile merito delle di lui opere.” ( 18 )
Un anno prima nel 1866, il Veneto e Venezia erano stati finalmente annessi al Regno d’Italia e ciò aveva incrementato ulteriormente il turismo e il commercio delle immagini della città lagunare; tra i fotografi primeggiò Naya, che da allora organizzò anche un’estesa rete di distribuzione nelle maggiori città europee, con i suoi rappresentanti. Il laboratorio Naya impegnò quindi il lavoro di molte persone che parteciparono direttamente allo sviluppo dell’atelier anche con la ripresa diretta di molte fotografie che sono invece state erroneamente attribuite al Naya.
Nel 1868 Naya aveva iniziato in Tribunale una interessante e precoce questione relativa al diritto
d’autore, chiamando in causa fotografi veneziani famosi come Carlo Ponti e coinvolgendo anche un
grande editore come Ferdinando Ongania. Naya infatti, per cautelarsi da eventuali furti, predisponendosi così a ottenere una prova certa e indiscutibile dalla contraffazione, con un ingegnoso sistema introduceva sui negativi delle fotografie qualche segno convenzionale; per esempio veniva cancellata una foglia dalla punta di un ramo, una piccola palla dalla cima di un obelisco.
Dimostrava in questo modo come le altre foto fossero copie perché se riprese dal vero non potevano mostrare le stesse caratteristiche che invece, erano state modificate sui negativi nel laboratorio Naya. Il tribunale quindi condannò con sentenza dell’11 febbraio 1882 “in solidum gli imputati al risarcimento dei danni ed interessi, e inoltre alla “distruzione di tutti gli esemplari delle fotografie contraffate e a rifondere al cav. Naya le spese di costituzione e rappresentanza di parte civile” ( 19 ). La causa fu vinta dopo quattordici anni, nel 1882, anno della sua morte.
Alla fine del processo il suo avvocato Leopoldo Bizio, pubblicò anche un singolare libretto, riportandovi tutta la vicenda processuale che apriva nuovi spiragli in questo settore della giurisprudenza.
L’ultimo grande album importante di fotografie concepito dalla Ditta Naya furono i “RICORDI”, che si continuerà a produrre in ogni formato fino ai primi anni del secolo, tra i quali vi fu quello dedicato nel 1887 alle Isole della laguna di Venezia. Naya partecipa, insieme ad altri professionisti ai diversi Salon aumentando, con le medaglie ricevute, il prestigio dell’atelier. Partecipa a Vienna nel 1873 con molte fotografie di opere d’arte e monumenti, tra le quali quelle che riproducono il mappamondo di Fra Mauro, meritando una medaglia di “Progresso” ( 20 ).
Tra i riconoscimenti dell’attività di Carlo Naya sono da ricordare: grande medaglia dell’Esposizione di Londra nel 1862; medaglia d’oro all’Esposizione di Groninga nel 1869, di Trieste e Dublino del 1872, di Torino del 1884 e di Anversa del 1885 ( 21 ).
Carlo Naya muore nella sua abitazione di Campo S. Maurizio 2758, il 30 maggio 1882, come testimoniato dall’amico Bizio che in una nota nella Gazzetta di Venezia del 30 maggio 1882: “Dopo una vita laboriosa, intelligente e onesta, questa notte alle due e mezzo in braccio alla sua affettuosa consorte, chiuse per sempre gli occhi il Cav. Carlo Naya. Da più giorni egli sentiva l’avvicinarsi della sua ultima ora, e la aspettò con animo tranquillo e con mente chiara e serena sino all’ultimo istante, come chi ha conoscenza di aver scrupolosamente adempiuto i propri doveri.” ( 22 )
Nelle pagine dell’Osservatore Veneto del 1 giugno si legge: “Sfarzosi i funerali (nella cappella ardente che la vedova fece apparecchiare in una sala del palazzo con una ricchezza veramente principesca ardevano oltre sessanta ceri…”) vi fu una grande partecipazione da parte dei veneziani nelle Chiesa di S. Stefano, dove accanto al feretro sfilano in prima fila “cinque degli agenti, che portavano cinque bellissime corone” ( 23 ).
Dopo la morte di Carlo Naya la ditta ebbe ancora successo, fino alla morte della vedova Ida Lessiak (di origine ungherese), quando l’atelier era passato al suo secondo marito, lo scultore Antonio Dal Zotto (1852- 1918), erede di tutto e continuatore dell’attività fino al 1918. L’archivio venne allora in parte rilevato dall’editore Ongania, che lo cedette poi a Osvaldo Böhm e va considerato uno dei più ricchi e integrali archivi fotografici dell’Ottocento.
Teresa Devito
NOTE
Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 143
Errea A., Storia e statistica delle industrie venete, Venezia, 1870, pag. 483
Errea A., Storia…, op. cit., pag. 48
Zannier I., Venezia Archivio Naya 1988, p 19., nota 33: “mesto tributo alla memoria onoratissima dell’Avvocato Carlo Naya nel trigesimo della sua morte”, Tip.Filippi, Venezia, 1882
Silingardi A., La Fotografia nell’Impero Ottomano, http://www.silingardi.it /adriano/index.htm/
Silingardi A., La Fotografia… op.cit., pag. 33
Silingardi A., La Fotografia… op.cit., pag. 34
Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 144
Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 144
Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 144
Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 144-145
Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 145
Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 145
Zannier I., Venezia…, op. cit., pag. 23
Becchetti P., Fotografi e Fotografia in Italia 1839-1880, Roma, Edizioni Quasar, 1978, pag.123
Costantini P., Zannier I., Venezia…, op. cit., pag. 34
Borlinetto L., I prodotti fotografici italiani i principali progressi della fotografia, in: L’Italia all’Esposizione Universale di Parigi nel 1867, rassegna critica descrittiva illustrata, Parigi Firenze, 1867, pag.112-113
Borlinetto L., I prodotti …, op. cit., pag. 112-113
Bizio L., Processo per contraffazione di fotografie, Venezia, 1882, pag. 11
Becchetti P., Fotografi…, op. cit., pag. 124
Becchetti P., Fotografi…, op. cit., pag. 124
Gazzetta di Venezia, Venezia 30 giugno 1882
Zannier I., Venezia…, op. cit., pag. 27
Mag. Ingrid Moschik,
political ward artist
